Da casa-torre a residenza nobiliare
L’edificio che si attesta su via Sant’Andrea – dirimpetto alla pieve romanica omonima che conserva il pulpito in candido marmo di Giovanni Pisano, capolavoro della maturità dell’artista – è il risultato dell’unione di più antiche costruzioni, sorte in epoche diverse, le cui tracce si conservano ancora visibili all’interno.
Il nucleo più antico, chiamato “palagio”, appartenne prima allo Spedale del Ceppo e poi alla nobile famiglia pistoiese dei Dondori, che lo acquistarono intorno alla metà del Trecento, ed era costituito da una tipica casa-torre, il cui orto confinava sul retro con le mura urbane della seconda cerchia.
Fra il 1608 e il 1620 i Fabroni, già proprietari di altre casa nella zona, acquistarono dai Dondori, in gravi difficoltà economiche, tutta la loro casa di Sant’Andrea. Nel corso del Seicento i nuclei diversi, Fabroni e già Dondori, rimasero separati, abitati da rami diversi della famiglia. Solo alla metà del secolo successivo, tra il 1748 e il 1769, per volere di Atto Fabroni, il palazzo fu oggetto di una ristrutturazione complessiva che gli conferì l’aspetto attuale, con la nuova facciata, elegante e scenografica, caratteristica per il suo andamento curvilineo.
Non è improbabile che a quella data si aprisse sul retro, attraverso l’ampio loggiato, uno spazio verde, come nella gran parte dei palazzi nobiliari della città. Tuttavia è solo nel 1870, nella pianta del Vecchio Catasto, che compare la prima planimetria del giardino configurata secondo la semplice geometria di un giardino all’italiana, suddiviso in due rettangoli identici, attraversati da vialetti perpendicolari, con aiuole al centro. Di tale configurazione originaria dello spazio esterno dell’edificio si sono oggi perse completamente le tracce.
Da edificio pubblico a museo
I Fabroni, proprietari anche della villa e della fattoria di Celle, sede attualmente della prestigiosa collezione di arte ambientale, mantennero la dimora cittadina, fornita di una ricca galleria di quadri e di una notevole biblioteca, fino al 1842. Per linea femminile, essa pervenne ai Mazzarosa di Lucca che, nel 1861, la vendettero alla Comunità Civica di Pistoia.
Da allora ebbe inizio il declino del palazzo, variamente destinato nel corso degli anni ad usi impropri, che ne stravolsero all’interno la settecentesca distribuzione degli spazi. Sede prima degli uffici della Sottoprefettura e, dal 1928 al 1945, della Federazione pistoiese del Partito Fascista, fu in seguito trasformato in scuola media statale. Successivamente il lungo restauro, a cura dell’ufficio tecnico comunale, liberò la struttura architettonica dalle modifiche e superfetazioni otto-novecentesche e riportò in luce elementi delle preesistenti case-torri trecentesche dei Dondori, delle quali alcune parti sono state lasciate a vista. All’impianto scenografico della facciata corrispondono, all’interno, la magnifica enfilade di porte e la disposizione sequenziale delle sale intorno all’ampio salone centrale, che nella ristrutturazione settecentesca collegò le antiche case Dondori e Fabroni.
Al termine degli interventi di recupero, negli anni 1990-1993 si stabilì di individuare in Palazzo Fabroni la sede principale delle attività espositive, permanenti e temporanee, relative alle arti visive moderne e contemporanee.